Non ero mi entrato in un campo di concentramento fino ad allora. Era un freddissimo pomeriggio di Marzo e c’erano pochissimi visitatori. Quel gelido silenzio ti avvolgeva ancor di più. Se sei a Berlino , devi prendere un treno per raggiungere SACHSENHAUSEN , ovviamente tutto quell’orrore non poteva e non doveva far par parte della quotidianità dei Berlinesi. Iniziando a camminare non puoi non rimanere colpito del rigore e dalla precisione architettonica che vige all’interno del campo….tutto era studiato nei minimi particolari. Mentre cammini ti soffermi ad osservare e a leggere ogni cartello descrittivo, allora piano piano cerchi di immaginare cosa poteva succedere lì solo 80 anni fa. Ho cercato di descrive ciò che ho visto immaginando la ricerca della luce da parte di tutte quelle persone che sono state rinchiuse nei campi di concentramento. Una luce che si affievolisce mano a mano che il percorso all’interno del campo volge al termine. Una luce che è sempre ostacolata dalle sbarre, per assurdo anche nella stanza autoptica. Si, perchè solo di assurdo si può parlare entrando in un campo….e l’assurdo inizia proprio all’ingresso con quella scritta “ARBEIT MACHT FREI”.